· 

Un ragazzo che racconta la sua vita e la sua speranza per un futuro migliore

Di Fiore Manzo

Leo Fetahi è un ragazzo diciannovenne di origine serbe e kosovare di etnia romanì. La sua famiglia è giunta dal Kossovo per scappare dalla guerra nel 1998 e soggiornò un paio di mesi in Italia per poi raggiungere l’ Olanda vivendo come rifugiati per circa un anno. Attorno all’anno duemila la famiglia è dovuta ritornare in Italia. Leo racconta delle difficoltà che ha subito la sua famiglia, dopo aver perso tutto per colpa della guerra e della nuova vita che hanno costruito gradualmente. Attualmente è vice presidente dell’Associazione Romni onlus che, fra le tante cose, aiuta la comunità quando ha problemi con i documenti e lotta contro la discriminazione e la violenza sulle donne. Si è trasferito da poco in Svizzera per motivi di lavoro dopo aver finito l’accademia per orologiaio. Durante l’intervista precisa: “Purtroppo sono venuto in Svizzera perché in Italia non c’è lavoro in generale, e poi quando ti vedono scuro di carnagione è ancora peggio perché hanno paura di assumerti”. Hanno vissuto un paio d’anni in un “campo nomadi” a Roma e appena hanno avuto la possibilità economica hanno comprato casa precisando di essersi così integrati. Leo sui “campi nomadi” dice di essere contrario e chiede alle istituzioni di aiutare quelle persone che vorrebbero integrarsi ma non hanno la possibilità economica. Sulla propria identità afferma: “ Mi sento sia un ragazzo Rom, che Italiano perché sono cresciuto insieme a ragazzi Rom e non Rom ma anche di altre nazionalità, quindi mi ritengo un ragazzo come tutti gli altri”. Prosegue il discorso identitario parlando anche delle tradizioni delle comunità romanès balcaniche: “Noi abbiamo tante tradizioni. Venendo dal Kosovo esempio, nei matrimoni, le donne si vestono con vestiti tradizionali chiamati, dimie. Le donne si riuniscono al centro mentre le raggiunge la sposa, e si balla con la musica. I miei genitori sono molto aperti di mentalità e quindi mi hanno educato al rispetto di tutte le tradizioni sia nostre che degli altri”. Sulle cose che fa per il popolo romanò dice: “Quello che cerco di fare è combattere per far cambiare agli altri l’opinione sui Rom, e far capire loro che non siamo tutti uguali e che non è come fanno vedere in televisione dove tutti sono ladri, rubano ecc. Ci sono Rom buoni che sono integrati, che vanno a scuola, lavorano e poi, come tutte le altre etnie, ci sono anche Rom che rubano ecc. Sulle discriminazioni racconta di averle subite, in particolare ricorda dei bambini che non volevano giocare con lui perché abitava in un “campo nomadi” e sul superamento dei pregiudizi sostiene che è necessario far conoscere la cultura romanì ad esempio attraverso la promozione dell’arte come la musica, i balli e attraverso l’apertura di strutture per conoscersi meglio. Leo invita a non credere a tutto quello che viene detto in tv, ma di informarsi e di conoscere di persona ogni singolo essere umano a prescindere dalla propria etnia.

 

 

Da Il Meridione 23/01/2019

Scrivi commento

Commenti: 0