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Romfobia e costruzioni stereotipate delle comunità romanès in Italia

Di Fiore Manzo

 

La popolazione romanì, stigmatizzata, non riconosciuta quasi mai come eterogenea è spesso  costretta a subire drastiche misure di controllo, segregazione, persecuzione finendo  per essere ridotta ad un agglomerato di stereotipi. La stessa vita di alcuni appartenenti alle comunità romanès è autopercepita come un “corpo estraneo” o peggio ancora “malattia” che sono certamente il risultato di secoli di oppressione che hanno portato le comunità a chiudersi, alla percezione negativa di sé epeggio ancora al vittimismo. È emblematico il caso di una romnì attivista romena che abita da tantissimi anni a Bologna e che su di se nel libro a cura dell’antropologa Martina Giuffrè “Uguali, diversi, normali. Stereotipi rappresentazioni e contro narrative del mondo rom in Italia, Spagna e Romania” racconta di avere vissuto momenti bui in Italia durante le scuole media perché abitava in un “campo nomadi” e veniva presa in giro. La sofferenza era così grande che finì per attuare una strategia di sopravvivenza.

Nel libro racconta: “Io mi ero fatta questa idea: cambierò scuola e non lo dirò più a nessuno che sono rom... così evito proprio il problema, perché l’avevo preso come un problema. Ho un problema, ho una malattia brutta, sono rom. Era diventata veramente una cosa molto forte per me, non volevo pensarci e non lo dicevo più a nessuno”. Questa storia è importante perché restituisce il sentimento di alcune persone che appartengono ad una delle tante comunità romanès e spiega quali sono le conseguenze della ghettizzazione, dell'esclusione sociale e dell'opinione negativa che molte persone hanno sulle comunità romanès. Il luogo, emerge dunque, contribuisce alla percezione della persona. La ragazza nel “campo nomadi” non è percepita allo stesso modo se abita in un appartamento. Per quanto riguarda la percezione negativa basta guardare oltre i commenti sui social network o le informazioni che i media diffondono anche le varie ricerche esistenti. In una ricerca di giugno 2015 del pew research anti-rom è emerso che l’86%  degli italiani ha  un’ opinione sfavorevole. Invece per quanto concerne la percezione della pericolosità degli “zingari” in Calabria secondo una ricerca del 2016 a cura di Anna Elia e Pietro Fantozzi dal titolo “Discriminazioni e antidiscriminazione in Calabria” su una scala che va da 0 a 10 sarebbero percepiti con il 7,81% di pericolosità. Percezioni negative e stereotipi positivi (figli del vento, “zingara ammaliatrice”, ”zingaro artista”...) e negativi (“zingaro delinquente”, “zingaro stregone”, “zingaro bugiardo”... ) dunque che hanno lo scopo di costruire una categoria. Il malessere porta anche all’attuazione delle strategie di resilienza quali rendersi invisibile agli occhi degli altri per non avere problemi o al contrario rendersi ipervisibili. Il quadro sopra descritto, se sommato ai discorsi di odio e intolleranza sfociati anche in atti violenti in diversi casi, che monitora  l’european roma rights centre, è utile per leggere il bisogno urgente di risposte alla questione romanì del bel paese. Risposte che da una parte dei politici Italiani non arrivano o risultano inadeguate. 

 

Per approfondire:

-Giuffrè Martina (a cura di), Uguali, diversi , normali, stereotipi. Rappresentazioni e contro narrative del mondo rom in Italia Spagna e Romania , Roma, Castelvecchi, 2014.

-Anna Elia, Petro Fantozzi ( a cura di), Discriminazioni e antidiscriminazione in Calabria, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016.

-http://www.errc.org/

-http://www.pewglo- bal.org/2015/06/02/ faith-in-europe- an-project-reviving/ eu-report-04-2/

 

 

Da Il Meridione 03/10/2018

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