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Rom e Sinti fuori dal campo chi sono?

Di Fiore Manzo

È strano come una domanda possa farti andare in crisi e riesca a darti la motivazione per iniziare un percorso di ricerca interiore e di conoscenza storico culturale o almeno di comprendere il perché di alcune tradizioni, delle origini d’un popolo e averne un quadro d’insieme chiaro e ben tracciato.

La domanda alla quale mi riferisco è di una semplicità apparente: Chi sono le comunità Rom e Sinti? Più complessa è, certamente, una possibile risposta quanto più convincente e chiara. Ho trascorso gli ultimi dieci anni a studiare e conoscere diverse comunità romanès che mi hanno fatto maturare soprattutto dal punto di vista umano e arricchito il mio bagaglio culturale. Forse ti starai chiedo perché metto insieme Rom e Sinti e poi utilizzo come sintesi “comunità romanès”. In Italia sono presenti dal XV secolo le comunità Rom (dal Sanscrito Dom che significa essere umano) e Sinti (Toponimo poiché deriva dalla regione indiana Sindh) che sono due dei cinque grandi gruppi che formano il popolo romanò assieme ai Kalè (dal Hindi kālā che significa nero), Manush (dal sanscrito e significa uomo, essere umano) e romanìchals (parola composta dall’aggettivo romanì e da chavè che significa figli/giovani la cui traduzione è figli/giovani Rom). Oltre a queste cinque comunità, l’universo romanò è formano da una miriade di sottogruppi. Conosciuti, anche, dal 1400 in poi con un equivalente di “zingaro” (dal grec Athinganos, intoccabile) e rappresentati da stereotipi e pregiudizi sin dal basso medioevo. Solo di recente, cioè dal 1971, a Londra le comunità romanès di tutto il mondo hanno deciso di sostituire “zingaro” ed equivalenti (Gypsy, gitano, zigene, tsigane ecc) con l’etnonimo Rom (e di utilizzare gli aggettivi femminili e maschili Romanì e romanò e l’avverbio romanès) oltre a scegliere l’8 aprile come giornata mondiale, l’inno Gelem Gelem e la bandiera romanì.

Lo so che la storia una po’ ti annoia ma credimi non sapendola non si può conoscere una

popolazione. Fai una ricerca semplice su Google e YouTube e vedrai quanta gente sa veramente poco di noi. Troverai più che altro articoli che parlano di furti, denti d’oro e tutto quello che ti hanno sempre detto del nostro popolo. Sapevi che il “campo nomadi” creato in Italia negli anni Ottanta del Novecento è retto dalla falsa storia della popolazione romanì “nomade per cultura”?

Per ora basti sapere che il nomadismo non è un dato culturale ma come vedremo progressivamente scoprirai le vere ragioni che hanno portato le comunità romanès a spostarsi dall’India nord-occidentale in tutto il mondo. Forse ora sarai un po’ confuso perché per anni hai creduto che fossimo Romeni... vedi quante cose conoscerai? Invece siamo Indiani.

Si parlava del “campo”, si proprio il “campo” che è finito per ospitare le comunità romanès proveniente dall’ex Jugoslavia e dalla Romania, che raccontano di avere conosciuto questo modello abitativo segregante in questo paese e che da loro abitavano nelle case. Pochi giorni fa parlando dei “campi nomadi” con una persona di origini romanès dell’est Europa mi raccontava della paura che ha avuto nel vedere al suo arrivo tante persone isolate in questi luoghi. Potendo, da persona laureata, con un minimo di possibilità economiche ha fittato una casa, dove ci abita con la famiglia.

Il “campo” è finito per rappresentare l’essere Rom e Sinto e anche diverse appartenenti alle comunità finiscono per rappresentarsi e identificarsi con l’abitare in un campo. Una ragazza di origini romanès nata e cresciuta in Italia (appartiene alle comunità presenti dal secondo 1300 in Italia) sull’essere “zingara” dice: “Io mi sento e non mi sento italiana, dipende dai momenti... so di essere italiana perché sono nata qua, la mia famiglia è nata qua, ma so anche di essere zingara perché ho delle origini zingare, perché delle persone ci hanno messo in un posto dove siamo tutti zingari facendo in modo che gli zingari e quelli italiani non si mischiassero”.

Questo passo d’intervista tratto dal libro a cura dell’antropologa Martina Giuffrè dal titolo “Uguali, diversi, nornali. Stereotipi, rappresentazioni e contro narrative del mondo rom in Italia, Spagna e Romania” edito da Castelvecchi ritengo sia esemplare per mettere in luce come da una parte si utilizzi l’eteronimo “zingaro” e il luogo come identificazione. È necessario considerare che la ragazza, che abita a Cosenza, faccia parte d’una comunità che non ha più trasmesso la lingua romanì dal dopoguerra e che ha assimilato il dialetto locale. L’utilizzo dell’eteronimo si riscontra solo con i pochi parlanti rimasti.

Il “campo” e la relativa concentrazione sociale producono come effetti: difficoltà d’integrazione, di riconoscimento, di scolarizzazione e abbandono scolastico, lavorative e perdita dell’identità culturale.

Mia nonna mi raccontava che a Cosenza negli anni Cinquanta quando veniva a trovare da Diamante alcuni familiari i suoi coetanei non parlavano quasi più la lingua romanì e che lei non avendo interlocutori non ha trasmesso ai figli la lingua.

Problema che ha colpito questa ma anche altre comunità romanès Calabresi che si trovano con pochissime persone anziane portatrici di conoscenze che sono destinate a scomparire totalmente. Le nuove generazioni calabresi, parlano il dialetto locale, l’Italiano e conoscono qualche enunciato di uso quotidiano del romanès.

La popolazione romanì in Italia pur essendo presente da secoli sul suolo italiano e nonostante parli una lingua diversa, a parte all’Italiano, non è stata riconosciuta dalla legge n°482 del 15 dicembre 1999. Quindi ci si chiede chi siano fuori dal “campo” Rom e Sinti.

La risposta è molto banale: persone che vengono percepiti simili e parte della specie umana. Nel “campo” si è percepiti come umanità in eccesso da ignorare, da evitare, eguali e da non riconoscere. Proviamo a sintetizzare quello che abbiamo scritto.

1) è doveroso chiamare gli “zingari” Rom e Sinti che sono le due minoranze presenti in Italia ma si può dire popolo romanò, popolazione romanì o semplicemente comunità romanès;

2) ci sono le comunità di antico insediamento e le comunità di recente migrazioni;

3) non sono nomadi per cultura e scoprirai prossimamente il perché;

4) Il “campo” non è altro che un luogo isolato e segregante nel quale le 26 persone stimate dall’associazione 21 luglio che vi abitano vivono senza opportunità e sono soggetti a discriminazioni e perdita culturale come nel caso delle comunità che hanno perso il romanès anche per essere accettate dalla società maggioritaria;

5) la popolazione romanì nonostante sia una minoranza non è stata riconosciuta.

 

 Da Il Meridione 19/09/2018

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