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Un dialetto neolatino “incottatato”: u zingariškə di Cosenza

Un dialetto neolatino “incottatato”: u zingariškə di Cosenza

Di Michele Cosentino

 

A centocinquant’anni esatti dalla pubblicazione dei Saggi ladini dell’Ascoli (1873), opera che segna tradizionalmente la nascita della dialettologia italiana e romanza, sembrerebbe pacifico ipotizzare che sulle lingue (nazionali e locali) neolatine sia stato detto tutto. Invece, come già ebbe a notare Giovan Battista Pellegrini nelle sue Note di sociolinguistica italiana (1982), il tempo in cui i dialettologi potranno dichiarare conclusa la fase degli studi “archeologici”, cioè della descrizione delle strutture grammaticali e del lessico di questa o quella varietà, è ancora molto di là da venire. Avviene, infatti, che nel corso di un’indagine sul campo emergano fenomeni finora non segnalati per la lingua oggetto di studio o, addirittura, negletti o poco studiati anche a livello tipologico. E succede, caso apparentemente più raro (almeno alle latitudini europee!), che, attraverso un’esplorazione linguistica o grazie ad alcune limitate informazioni ottenute talvolta in maniera puramente casuale, si accerti l’esistenza di una varietà linguistica ancora ignota alla linguistica scientifica. Questo è ciò che è successo quando, per la prima volta, su imbeccata di Fiore Manzo, sono entrato in contatto con il dialetto neolatino parlato dalla comunità rom stanziale di Cosenza, u zingariškə (IPA [ʊ ʦɪŋɡaˈrɪʃkə]).

Si tratta di una lingua locale su cui, se si eccettua il brevissimo schizzo di Pierluigi Grottola del 2006, né i linguisti né gli antropologi o i cultori di tradizioni popolari si erano mai soffermati. Tale “vuoto descrittivo” si spiega da un lato con la difficoltà di intervistare i membri di una comunità che, nel giro di sessant’anni, ha abbandonato il seminomadismo e i mestieri tradizionali ad esso legati (commercio di animali, lavorazione ambulante dei metalli, ecc.) sperimentando tutte le criticità dell’inurbamento [Palazzolo e Zucca 2011; Soravia 2011], dall’altro con la constatazione che un dialetto o un diasistema zingariškə si sono formati, così come li conosciamo oggi, solo dopo la sedentarizzazione. È al termine di questo processo, di fatto, che il contatto interlinguistico tra rom di diversa provenienza e con differenti L2 romanze si fa sistematico, con l’ovvia conseguenza che, mentre queste L2 si avvicinano e lo zingariškə acquisisce una propria chiara fisionomia rispetto ai dialetti calabresi settentrionali, il livello di variazione idiolettale interno alla comunità rom resta considerevole e alcuni tratti dei dialetti di partenza delle singole famiglie risultano ancora visibili.

La vicinanza strutturale dello zingariškə al dialetto cosentino propriamente detto e le difficoltà connesse alla salvaguardia dell’identità culturale rom qui come nel resto d’Italia fanno sì che questa “nuova” lingua locale italo-romanza possa scomparire nel giro di qualche generazione o, quanto meno, perdere molti dei suoi fenomeni caratteristici per interferenza di altre varietà (cfr. Soravia 2011). È dunque compito principale del linguista offrirne una valida descrizione. Confidando di raggiungere quanto prima tale obiettivo, ritengo comunque doveroso fornire alcuni primi ragguagli sulla fonetica e sulla morfologia dello zingariškə.

Per quanto attiene il livello fonetico-fonologico, uno dei fenomeni più vistosi, sia in ottica contrastiva sia a livello di classificazione dialettale, è la centralizzazione di tutte le vocali atone finali, cfr. p. es: nu jùornə [nʊ ˈjuɵ̯rnə] ‘un giorno’ < *di̯ŏrnu(m) (Lausberg 1939: §40), na pinźə [na ˈpɪnʣə] ‘una pinza’, na zakkuràfə [na ʦakːhʊˈraːfə] ‘grosso ago per cucire i materassi’ < gr. σακκοράφα (LGII: 446), tri mmilùnə [ˈtrɪ mːɪˈlʊːnə] ‘tre meloni’, u panə [ʊ ˈpaːnə] ‘il pane’.

Altro fenomeno notevole è poi la presenza di alcune voci a vocalismo tonico «sardo», vale a dire di parole in cui ē e ō latine evolvono rispettivamente come [ɛ] e [ɔ] (Lausberg 1939), cfr. p. es.: jetə [ˈjɛːtə] ‘bietola’ < bēta (REW: 1064) × blĭtu(m) (REW: 1173) accanto però al tipo cosentino jìevusa [ˈjiə̯βʊsa] ‘id.’ < osc.-umb. helsa- (Trumper 2016: 84), vennə [ˈβɛnːə] ‘vendere’ accanto a forme del paradigma a vocalismo siciliano (p. es.: vinnə [ˈβɪnːə] ‘vendi’ in sostituzione di vènnəsə [ˈβɛnːəsə] ‘id.’), paretə [paˈrɛːtə] ‘muro divisorio’.

Nel consonantismo, invece, vanno menzionati: la palatalizzazione di /s/ davanti a occlusiva velare e bilabiale (p. es.: špusatə [ʃpʊˈsaːtə] ‘sposata, -o’, škurdà [ʃkʊrˈda] ‘scordare, dimenticare’, šbattə [ˈʃbatːhə] ‘sbattere’), tratto tipico di numerosi dialetti alto-meridionali, nonché di alcune varietà nord-calabresi dell’area ionica (Rohlfs 1966: §188); lo sviluppo di una consonante prostetica ([ɣ]) prima di vocale iniziale di parola (p. es.: garijə [ˈɣarɪjə] ‘aria’, gottə [ˈɣɔtːhə] ‘otto’, ghèrə [ˈɣɛːrə] ‘era’, gùnə [ˈɣʊːnə] ‘uno’), comportamento condiviso da gran parte del calabro-lucano arcaico; la conservazione dei nessi -tr- e -str-, che non diventano retroflessi (p. es.: trasə [ˈtraːsə] ‘entra!’, kwattrə [ˈkwatːhrə] ‘quattro’, u patrə [ʊ ˈpaːtrə] ‘il padre’, struššə [ˈstrʊʃːə] ‘rumore’, u lustrə [ʊ ˈlʊstrə] ‘la luce, il chiarore’ < lŭstrum [REW: 5183]).

Passando alla morfologia, per la linguistica romanza e, in particolar modo, per lo studio storico-comparativo delle lingue romanze, è assai rilevante la conservazione della desinenza verbale -[sə] < -s di 2° sg. Una parte della comunità preserva l’uscita sigmatica sia al presente sia all’imperfetto indicativo, comportamento, questo, che è in linea con quanto si registra nelle varietà della cosiddetta Area Lausberg (Lausberg 1939: §§313 sqq). Un’altra parte, invece, conosce la desinenza consonantica solo all’imperfetto indicativo, come avviene nella Valle dell’Esaro e in parte della Media Valle del Crati (Cosentino 2023a, b). Si vedano i seguenti esempi: mìntəsə [ˈmɪndəsə] ‘tu metti’, tènəsə [ˈtɛːnəsə] ‘tu tieni / tu hai’, vìdəsə [ˈβɪːðəsə] ‘tu vedi’, pàssəsə [ˈpasːəsə] ‘tu passi’, fačìsə [faˈʧiːːsə] ‘facevi, jìəsə [ˈjiə̯sə] ‘andavi’, manǧàssə [manˈʤasːə] ‘mangiavi’, èrəsə [ˈɛːrasə] / [ˈɛːrəsə] ‘eri’.

La terminazione sigmatica non si conserva, però, alla 2a pl, ove al presente troviamo solo -[Vtə]: pigliàtə [pɪˈʎːaːtə] ‘prendete’, sapìtə [saˈpɪːtə] ‘sapete’, vulìtə [βʊˈlɪːtə] ‘volete’, sitə [ˈsɪːtə] ‘siete’, ata a fà [ˈat a ˈfa] ‘dovete fare’, ecc. Tali condizioni si riscontrano in diversi punti dell’area arcaica (p. es.: Senise, Rotonda, Maratea, Cassano all’Ionio) [Bigalke 2009: 63], nella zona lucana a vocalismo romeno (ibid.) e nel calabrese settentrionale (Trumper 1997). All’imperfetto le desinenze di 2a pl sono alternativamente (con ampi margini di variazione interfamiliare) -[Vtə] (esito calabrese settentrionale) / -[Vbːə] (esito calabro-lucano): špustàvatə [ʃpʊˈstaːβatə] ‘spostavate’, parlàbbə [parˈlabːə] ‘parlavate’, èrətə [ˈɛːrətə] ‘eravate’, pagàbbə [paˈɣabːə] ‘pagavate’, ecc.

Non vi sono, d’altra parte, continuatori superficiali di -t di 3a sg, la cui unica traccia è il raddoppiamento fonosintattico della consonante iniziale della parola successiva al verbo: à gghjutə [ˈa ˈɟːʊːtə] ‘è andata’, nun bbèna mmajə [nʊn ˈbːɛna ˈmːaːjə] ‘non viene mai’, čč era nna parèntə [tːʃ ˈɛra nːa paˈrɛndə] ‘c’era una parente’.

Va infine segnalato che il gerundio esce in -ènnə -[ɛnːə] < -endo sia con i verbi di prima che con quelli di seconda classe: fačènnə [faˈʧɛnːə] ‘facendo’, dičènnə [ˈðɪˈʧɛnːə] ‘dicendo’, ǧǧirènnə [dːʒɪˈrɛnːə] ‘girando’, purtènnə [pʊrˈthɛnːə] ‘portando’, ecc. Si tratta di uno sviluppo alquanto diffuso nei dialetti calabro-lucani, come ricorda già Lausberg (1939: §332). Tra i punti in cui -[ɛnːə] è stato esteso alla prima coniugazione in luogo di -ànnə -[anːə] troviamo, ad esempio, Cassano e Francavilla Marittima, località a forte presenza rom con cui i contatti interfamiliari sono tuttora frequenti.

Alla luce dei tratti sinora presentati – ma i fenomeni da prendere in esame sono assai più numerosi e investono anche sintassi e lessico – è possibile affermare che nello zingariškə cosentino sono riconoscibili non solo elementi della zona di Cassano-Sibari-Francavilla, ma anche caratteristiche riscontrabili nella zona di confine tra Mittelzone dell’Area Lausberg e Vorposten a vocalismo romeno, nonché alcune tracce dei contatti più recenti con i calabresi settentrionali. Ulteriori elementi raccolti in corso di indagine farebbero presupporre, tra l’altro, l’esistenza di influssi calabresi mediani. Su questi, nondimeno, al momento è impossibile dilungarsi. Nel complesso, sebbene in via del tutto preliminare, si può pertanto affermare che il dialetto zingariškə afferisca al diasistema meridionale intermedio, non alle varietà del Meridione estremo d’Italia.

 

Bibliografia

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  • Cosentino, Michele. 2023a. “Per una ridefinizione di alcune isomorfe calabresi settentrionali”. In Perspectives de recherche en linguistique et philologie romanes, eds. Dolores Corbella, Josefa Dorta e Rafael Padrón, 781-791. Strasbourg: Société de Linguistique Romane / Éditions de linguistique et de philologie.
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  • Trumper, John Bassett. 2016. Geostoria linguistica della Calabria. Roma: Aracne.

 

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